un altro assaggio da portosepolto. è un pezzo di uno dei sei racconti contenuti nel taccuino. il canto del picchio, di giorgio sannino. molto bello, a parere nostro.
Per prima cosa ho paura. E allora resisto alla tentazione di stringere le mani attorno ai freni, allargo le braccia e ascolto il vento sbattermi in faccia. Mi fa lacrimare e faccio degli occhi due fessure. Dev’essere così, volare: in discesa senza mani come sospeso a mezz’aria. Non faccio che incamerare e sputare, incamerare e sputare. Respiro meglio perché l’aria mi raggiunge in anticipo. Sposto leggermente il peso a destra, poi a sinistra. Evito i tombini e mi rimetto in carreggiata. Immagino che ci sia un binario a segnarmi la direzione. Anche in curva mantengo le braccia larghe, come un aereo. E gli occhi che si bagnano sono adrenalina. E le ginocchia che pulsano sono il motore. Quando attraverso un incrocio penso a quello che mi dice Giorgio. Che a vent’anni non ho paura di morire. Per quello mi piace volare. Quando attraverso un incrocio vorrei che Giorgio fosse accanto a me. O seduto in sella alle mie spalle. Allora sentirebbe. Sentirebbe la paura fottuta che sbuchi il muso di una macchina e lo vedremmo. Lo vedremmo se ho paura oppure no. A vent’anni come a cinque. Una paura fottuta. Certe volte credo di farmela addosso. Immagino il liquido caldo subito farsi freddo e inondarmi i pantaloni, gocciolare sulla catena, lasciare una scia sull’asfalto che sarebbe appena percepibile perché corro come farebbe un airone. Un’aquila. O anche solo un piccione. Li avete mai visti volare i piccioni? Stringono appena le ali e cadono in picchiata. E allora lo faccio anch’io. Chiudo le braccia, incrocio i polsi dietro la schiena, abbasso il busto, metto il mento parallelo all’asfalto. Continuo a guardare la strada ma ora devo mantenere lo sguardo in avanti. È più difficile. Faticoso. E controllo appena l’equilibrio. Il manubrio vibra che sembra staccarsi, non riesco neppure più a deglutire e se lo faccio non sono capace di accorgermene. Non sento più la sella, non sento i pedali. Potrei averli mollati. Sono parte unica con le due ruote. Sono la ruota numero tre. Respiro all’unisono con loro. Sono un piccione senza ali sopra due ruote private dei freni. Sono fuga. E sono cieco. Giorgio mi chiede da cosa scappo e quando lo fa mi guarda negli occhi. Io non scappo, cerco. La mia vita è un’urgenza. Vivo d’urgenze. Non sa capirlo. Non vuole. Non può. Credono che vivere sia un percorso segnato. Credono che esistano delle regole. Quando penso di fare qualcosa di possibile comincio dall’impossibile. Guidare in discesa senza mani curvato in avanti come un pattinatore sul ghiaccio è possibile.
(continua nella versione cartacea di portosepolto...)
domenica 29 aprile 2007
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5 commenti:
Lo conosco. Lo lessi fino alla fine di un fiato tempo fa.
Ogni parola ti rimbalza nella testa. Nello stomaco. Ti scorre sotto pelle come il sangue. E quando finisce. Resti irrimediabilmente solo con fogli vivi tra le dita.
...ingoio ammutolito...
secondo noi è molto bello, come racconto. l'altra sera, durante la cena a lume di candela, paolo e lucio-due attori nonchè membri della redazione-hanno letto questo racconto. su un pezzo di pianoforte di phlip grass. con ale, il musicista, che con il flauto e la tastiera effettava il tutto. è stato un momento davvero da pelle d'oca!
farò in modo di esserci presto, intanto un grazie di cuore, davvero, sono allibito...
ti aspettiamo noi, allora!
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